Arrivano i Millennials: e il capo deve trasformarsi in formatore

I Millennials e le altre generazioni che si stanno affacciando ora sul mercato del lavoro hanno imposto un cambio significativo al ruolo del capo. Se in passato la percezione del capo era data dall’autorità e dal ruolo che ricopriva, con l’avvento dei Millennials questo concetto è stato messo completamente in discussione. Direi quasi sradicato completamente. Il rispetto dell’autorità, per questi nuovi lavoratori, passa prima di tutto dal rispetto umano e dalla stima professionale. E in particolare quest’ultima è fortemente legata ad un altro concetto che i Millennials reputano fondamentale: la capacità di formare e far crescere le proprie risorse attraverso percorsi formativi ben definiti, programmati e condivisi. Una condizione indispensabile per entrare in azienda, ma soprattutto per restarci. Nella classifica dei valori ricercati dai Millennials vengono citati sempre, ai primi posti, la possibilità di avere una visione di medio periodo e il fabbisogno formativo.

Cosa è successo, quindi, nelle aziende? Semplice, una corsa folle verso le creazione di corsi – e percorsi – di formazione: dai più banali (la sicurezza, il codice etico) a quelli più legati alle posizioni ricoperte (digital, social media, comunicazione, marketing, sales…). E poi milioni e milioni di ore di corsi di lingua inglese. Un numero talmente alto di lezioni che, a questo punto, dovremmo essere un paese bilingue. Tramite fondi professionali, tramite formatori esterni o grazie a manager già presenti in azienda, quasi tutti si sono attrezzati per fornire alle nuove leve quanto possibile in termini di competenze ed esperienze. Peccato che, in tutta questa ansia da formazione, molti si siano poi dimenticati di formare i capi a gestire queste nuove generazioni. Un problema non banale visto che, una volta usciti dall’aula, la formazione dovrebbe proseguire tutti i giorni negli uffici. E il formatore, in teoria, dovrebbe essere il manager o la figura «più senior» del team.

Eppure – e questo è un aspetto che riscontro davvero spessissimo quando faccio consulenza e coaching nelle aziende – si ritiene che più si invecchia professionalmente, meno ci sia bisogno di training. Un errore enorme, visto e considerato che chi gestisce team di persone necessiterebbe di formazione continua su numerosissimi aspetti: dall’uso della tecnologia per facilitare il lavoro all’affrontare i conflitti, dal motivare le persone agli aspetti più pratici legati al business. Si dice che ogni capo che non insegna è destinato ad essere sostituito perché non è in grado di soddisfare le esigenze di due suoi collaboratori, indipendentemente da quanto in alto si trovino nella gerarchia aziendale.

Pensiamo, giusto per citare un esempio molto attuale, al tema della cyber security: quanti Ceo sono realmente preparati su questo argomento? Quanti Ceo hanno messo piede in un’aula per capirne di più? Pochi, almeno finché il problema non diventa reale ed impellente. E quando il problema sarà reale ed impellente, forse i danni saranno già di enorme portata. Credo che tutti, a qualunque livello si trovino, debbano dedicare tempo all’apprendimento. Ma sono ancora più convinta che. con l’aumentare delle responsabilità in azienda, il ruolo della formazione diventi sempre più cruciale. Un manager impreparato non può guidare con successo il proprio team. E un team che sa di non poter imparare dal proprio manager non può lavorare bene. Con un risultato molto semplice: una sconfitta, da qualunque parte la si guardi.

 

* L’articolo originale è stato pubblicato da www.ilsole24ore.com qui

Colloquio di lavoro, gli errori inconsapevoli che chi fa selezione può commettere

Può capitare, durante un colloquio, che il selezionatore commetta alcuni errori che vengono definiti inconsapevoli. Ci sentiamo vicini alla persona che ha frequentato il nostro stesso master o la nostra stessa università. Entriamo in sintonia, quasi subito, con chi pratica il nostro stesso sport o tifa per la nostra stessa squadra. 

Perché? La risposta è semplice, quasi banale: tendiamo ad avvicinarci a ciò che ci rassomiglia e in ciò che ci riconosciamo. Lo sport – il calcio in modo ancora più marcato – è un elemento di fortissima aggregazione e di discussione comune. Ma anche condividere la passione per un genere letterario o per un certo attore è un elemento importante di vicinanza.
E’ scontato – ma è bene ripeterlo – che durante un colloquio di lavoro vengono valutate, in primis, le competenze tecniche. Nessun candidato è mai stato scartato, ovviamente, per la fede calcistica o perché appassionato dei film di Fantozzi o ancora per aver indossato una giacca ritenuta brutta. Ma non posso negare, dopo oltre 20 anni di selezione, che il contorno possa influenzare.
E allora, come risolvere questo problema? Vi riporto un consiglio preziosissimo che mi è stato dato da una selezionatrice molto competente e che, a mia volta, ho passato ai ragazzi che lavorano con me in EasyHunters: annotare tutte le sensazioni, positive e negative, avute durante il colloquio. E solo dopo, valutare che impatto queste annotazioni hanno avuto in modo da eliminare totalmente gli errori inconsapevoli che in nessun modo e in nessun caso devono influenzare il processo di selezione.
In EasyHunters puntiamo moltissimo sulla formazione dei consulenti, affinché gli errori inconsapevoli siano prossimi allo zero.

Non mentite durante il colloquio, i selezionatori lo scoprono all’istante!

Durante un qualsiasi colloquio di lavoro, al candidato vengono posti diversi tipi di domande. Alcune di esse sono legate al curriculum, altre alle esperienze lavorative o accademiche, altre ancora alle aspettative di crescita professionale o economica, alla conoscenza delle lingue straniere e agli interessi personali.

È fondamentale essere il più trasparenti e sinceri possibile, anche perché per i selezionatori è abbastanza semplice scoprire, attraverso alcune domande di verifica, bugie o incongruenze.

E’ possibile che un candidato menta durante il colloquio, ma è una prassi assolutamente sconsigliata, soprattutto quando si affrontano le selezioni con gli intermediari. Quando ci si accorge che il candidato non è sincero, la valutazione peggiora drasticamente: se al candidato mancano alcune competenze, forse, è possibile chiudere un occhio, ma chi vorrebbe una persona disonesta nella sua azienda? Nessuno!

Ma quali sono le bugie più frequenti?

  1. Perché hai lasciato il precedente lavoro? È una delle domande più frequenti nei colloqui di selezione. Se è finito il contratto o si è stati licenziati, dire che si è scelto di lasciare la propria azienda non è la soluzione migliore. Dobbiamo ricordare che essere licenziati o non confermati/trasformati non ci rende necessariamente pessimi candidati. Un buon selezionatore, tra l’altro, sarà in grado di dare consigli su come comunicare questa informazione e dare comunque una buona immagine di sé e del proprio percorso professionale, indipendentemente da come è terminato il rapporto precedente.
  1. Ti interessa il ruolo di…? Può capitare che ad un candidato venga proposto un ruolo che, seppur in linea con le sue esperienze, non combaci perfettamente con le sue aspirazioni o con quanto vorrebbe fare. Ammettere che la posizione offerta non è quella dei propri sogni, spiegare il motivo e raccontare con chiarezza quali sono le proprie aspirazioni non è affatto una mancanza di rispetto, anzi. Meglio dirlo subito che in una fase avanzata.
  1. Quanto conosci il linguaggio o il programma…quanto conosci la lingua inglese? Mentire sulle proprie capacità ed esperienze non è mai saggio. Capita spesso che al candidato venga chiesto di fare una prova pratica e a quel punto si viene smascherati nel giro di 30 secondi. Meglio, quindi, non perdere tempo cercando di convincere il selezionatore che si sa usare in modo professionale un determinato software o si conosce perfettamente l’inglese. Così facendo, si prolungherà solo il periodo di ricerca del lavoro giusto: è inutile cercare di trasformare se stessi nel candidato ideale, molto più importante trovare il lavoro ideale per se stessi!
  1. Quanto guadagnavi e quali benefit avevi? Non c’è nulla di sbagliato nel voler cambiare lavoro anche per poter aumentare la propria retribuzione o per avere maggiori benefit. È invece sbagliato – e anche controproducente – mentire su stipendio o altri benefit perché, in molti casi, al candidato potrebbe essere chiesta una prova che le informazioni fornite siano veritiere: ad esempio, l’ultima busta paga, Il Cud dell’anno precedente o la lettera di assunzione e, anche in questi casi, la verità emergerà all’istante.

 

I 5 errori da non commettere quando si cerca lavoro

Cercare lavoro è, lo sappiamo, un vero e proprio lavoro. E proprio per questo è bene agire in modo strategico e pianificato, per evitare di commettere degli errori che, in una situazione di questo tipo, possono rivelarsi fatali.

La ricerca di occupazione è una situazione molto stressante e può mettere a dura prova chiunque. Ci sono, però, alcuni errori che è bene non commettere per evitare di bruciarsi delle opportunità importanti.

  1. Descrivere le proprie esperienze e le proprie competenze usando termini inappropriati: il 90% dei curriculum che un selezionatore riceve, contiene le stesse formule che – proprio perché ormai inflazionate – hanno perso significato. “Capacità di lavorare in team”, oppure “persona motivata”, ma anche “ottime doti relazionali” sono praticamente ovunque. Meglio sostituirli con termini meno di impatto, magari, ma che hanno un significato reale.
  1. Rispondere a qualsiasi annuncio, anche a quelli non in linea con il proprio profilo: è inutile negarlo, candidarsi a qualsiasi ruolo è una inutile perdita di tempo che non porterà ad alcun risultato. Molto meglio focalizzarsi solo su un numero limitato di offerte e, piuttosto, costruire un network di relazioni che possa portare vantaggi al proprio percorso professionale.
  1. Giocarsi la carta della “vittima” durante il colloquio. Cercare di impietosire il selezionatore apparendo disperati non è la scelta giusta, anzi. Soprattutto in quelle situazioni in cui le aziende per cui si è lavorato hanno affrontato situazioni economiche difficili. Di solito la scelta ricade su chi ha saputo reagire e non piangersi addosso.
  1. Fare richieste economiche non in linea con il proprio profilo: non conoscere la propria situazione contrattuale – non solo in termini di salario fisso, ma anche di variabile, benefits o agevolazioni – potrebbe portare a fornire informazioni non complete che magari poi possono rivelarsi una scelta negativa e che, nel lungo periodo, non premia. Si inizierà un nuovo lavoro guadagnando meno e – soprattutto – sarà più difficile ottenere uno stipendio adeguato.
  1. Accettare qualsiasi condizione e/o richiesta e non negoziare il compenso: se vengono fatte richieste che si reputano inaccettabili o comunque inadeguate, è meglio declinare subito per evitare di trovarsi in situazioni spiacevoli dopo. Altrettanto importante, inoltre, negoziare il proprio compenso prima che l’assunzione sia avvenuta. Una volta firmato il contratto, sarà molto difficile tornare a discutere di denaro e chiedere un aumento.