Referendum per dichiarare disciplina olimpica il km lanciato in aeroporto

Ebbene sì, ho deciso di lanciare e sostenere un referendum per trasformare quell’attività che coinvolge migliaia di lavoratori ogni settimana.
Atleti di altissimo livello che spesso, per lavoro, sono costretti a fare lo stesso tragitto diretti verso mete straniere.
Si riconoscono subito: abito scuro perché deve reggere almeno 14 ore, tacco basso – massimo 5 cm – per le donne e sguardo cattivo che si guarda intorno con fare famelico. E sono quelli che si siedono sempre allo stesso posto del treno, all’andata e al ritorno. Sono sempre avanti e conoscono i tempi a memoria: sanno quando scendere e conoscono le stazioni intermedie solo dal rumore dell’ apertura porte.

Sono quelli con la testa bassa sul telefono, musica nelle orecchie e dita veloci nel tentativo di smaltire il lavoro prima di partire. Sono quelli che al rientro in Italia si riconoscono perché in aereo sono nelle prime file, con bagagliaio a mano e leggero. Sono quelli che non si fanno intenerire dalle vecchiette, veri caterpillar mascherati da simpatiche nonnine, che pur di passare per prime ti menano colpi bassi. Sono i primi davanti alla porta del bus che secondo accurati calcoli sarà esattamente di fronte alla porta degli arrivi. Perché secondo la radice quadrata di 123456789 l’autobus si fermerà esattamente li.

Quelli come me che vanno in paesi extra UE hanno anche la sorpresa del controllo a sorpresa. Quello meglio conosciuto come controllo carogna, con due soli metaldetector per 200 passeggeri, che se passi per ultimo vedi la luce quando ormai Malpensa chiude i battenti, quando ormai è rimasto solo un inserviente che con fare sconsolato ti guarda come per dire “ancora qui stai?” 
Sono dei triatleti, davvero:
  • Presa del taxi o della metro all’ultimo minuto utile, per dormire 10 minuti in più;
  • Salita sul treno nei 30 secondi prima della chiusura delle porte;
  • Salita o discesa dall’aereo nel minimo accettabile senza mandare all’ospedale nessun compagno di viaggio, senza rompere la valigia o le scarpe e riuscendo ad arrivare ai controlli con un sorriso e un buongiorno.
Sono quelli che con estrema soddisfazione dicono che il  tempo di commuting casa-ufficio è di 4 ore 58 minuti e 37 secondi. E sono migliorati di 10 minuti!!!

Il mondo finisce due volte l’anno: l’ansia pre-ferie negli uffici

Di fine del mondo si parla molto spesso e sotto diversi punti di vista: religioso, politico, socio-economico, ambientale. E dal punto di vista lavorativo? Direi quasi mai, eppure ci sono due periodi in cui, pare, ci sia la fine del mondo anche negli uffici: prima di ferragosto e prima di natale.

Lo stiamo vivendo, credo, proprio in questi giorni. Indipendentemente dal ruolo che si ricopre in azienda, c’è una specie di ansia collettiva e diventa indispensabile correre per arrivare alla fine. Ma alla fine di cosa? Quei 15 giorni di ferie non sono, posso giurarlo, un enorme buco nero oltre il quale non c’è nulla. 
 
Sembra, però, che nessuno ci creda. Ecco allora che iniziano a pioverci addosso le fatidiche frasi che vanno dal “dobbiamo chiudere questo progetto” al “le proposte commerciali devono essere inviate prima delle ferie”, per passare poi a “inviamo tutti i report, i contratti, le mail” fino ad arrivare a “programmiamo le riunioni di allineamento per assegnare tutti i compiti in modo che al rientro tutti sappiano cosa fare”.
 
In questa frenesia, non si considera un aspetto fondamentale: le persone saranno assenti al massimo 15 giorni lavorativi. Non 60, 180 o 360. E, tra l’altro, avranno – mi sento di dire nel 99% dei casi – il proprio smartphone da cui, in caso di necessità, leggere le mail o rispondere alle telefonate. 
 
E allora, da cosa dipende questo panico pre-vacanze? L’idea che mi sono fatta è che tutto sia legato proprio a questo eccesso di connessione. Sappiamo che, potenzialmente, potremmo non staccare mai e quindi tendiamo a ridurre al minimo le possibilità di essere disturbarti quando siamo in ferie, cercando disperatamente di chiudere tutto prima di uscire dall’ufficio. 
 
Da qualche anno le aziende tendono a far smaltire le ferie ai propri dipendenti in modo più ragionato, in modo che ad agosto – tolta giusto la settimana del 15, durante la quale anche trovare un bar aperto in città è quasi un’impresa impossibile – il lavoro proceda tranquillamente, come in qualunque altro momento dell’anno. 
 
Per la prima volta da quando gestisco un’azienda ed un team di persone, sto pensando di mettere un messaggio di “out of office” nel quale comunicare – nel caso qualcuno non l’avesse notato – che 10 giorni lavorativi passano in fretta e, salvo casi eccezionali, non succederà nulla di irreparabile. E se anche ci fosse un’urgenza, tutto si può risolvere con una telefonata. 
 
In questi giorni sto chiedendo ai miei contatti quando rientreranno dalle vacanze. Molti di loro saranno operativi alle loro postazioni prima della fine del mese. Due o tre settimane di ferie che sembrano, ai più, davvero troppo poche. 

Quindi, il mondo non finisce? Direi di no, anzi ricomincia come prima. 
Probabilmente con l’ansia da rientro. 

Colloquio di lavoro, gli errori inconsapevoli che chi fa selezione può commettere

Può capitare, durante un colloquio, che il selezionatore commetta alcuni errori che vengono definiti inconsapevoli. Ci sentiamo vicini alla persona che ha frequentato il nostro stesso master o la nostra stessa università. Entriamo in sintonia, quasi subito, con chi pratica il nostro stesso sport o tifa per la nostra stessa squadra. 

Perché? La risposta è semplice, quasi banale: tendiamo ad avvicinarci a ciò che ci rassomiglia e in ciò che ci riconosciamo. Lo sport – il calcio in modo ancora più marcato – è un elemento di fortissima aggregazione e di discussione comune. Ma anche condividere la passione per un genere letterario o per un certo attore è un elemento importante di vicinanza.
E’ scontato – ma è bene ripeterlo – che durante un colloquio di lavoro vengono valutate, in primis, le competenze tecniche. Nessun candidato è mai stato scartato, ovviamente, per la fede calcistica o perché appassionato dei film di Fantozzi o ancora per aver indossato una giacca ritenuta brutta. Ma non posso negare, dopo oltre 20 anni di selezione, che il contorno possa influenzare.
E allora, come risolvere questo problema? Vi riporto un consiglio preziosissimo che mi è stato dato da una selezionatrice molto competente e che, a mia volta, ho passato ai ragazzi che lavorano con me in EasyHunters: annotare tutte le sensazioni, positive e negative, avute durante il colloquio. E solo dopo, valutare che impatto queste annotazioni hanno avuto in modo da eliminare totalmente gli errori inconsapevoli che in nessun modo e in nessun caso devono influenzare il processo di selezione.
In EasyHunters puntiamo moltissimo sulla formazione dei consulenti, affinché gli errori inconsapevoli siano prossimi allo zero.

Non mentite durante il colloquio, i selezionatori lo scoprono all’istante!

Durante un qualsiasi colloquio di lavoro, al candidato vengono posti diversi tipi di domande. Alcune di esse sono legate al curriculum, altre alle esperienze lavorative o accademiche, altre ancora alle aspettative di crescita professionale o economica, alla conoscenza delle lingue straniere e agli interessi personali.

È fondamentale essere il più trasparenti e sinceri possibile, anche perché per i selezionatori è abbastanza semplice scoprire, attraverso alcune domande di verifica, bugie o incongruenze.

E’ possibile che un candidato menta durante il colloquio, ma è una prassi assolutamente sconsigliata, soprattutto quando si affrontano le selezioni con gli intermediari. Quando ci si accorge che il candidato non è sincero, la valutazione peggiora drasticamente: se al candidato mancano alcune competenze, forse, è possibile chiudere un occhio, ma chi vorrebbe una persona disonesta nella sua azienda? Nessuno!

Ma quali sono le bugie più frequenti?

  1. Perché hai lasciato il precedente lavoro? È una delle domande più frequenti nei colloqui di selezione. Se è finito il contratto o si è stati licenziati, dire che si è scelto di lasciare la propria azienda non è la soluzione migliore. Dobbiamo ricordare che essere licenziati o non confermati/trasformati non ci rende necessariamente pessimi candidati. Un buon selezionatore, tra l’altro, sarà in grado di dare consigli su come comunicare questa informazione e dare comunque una buona immagine di sé e del proprio percorso professionale, indipendentemente da come è terminato il rapporto precedente.
  1. Ti interessa il ruolo di…? Può capitare che ad un candidato venga proposto un ruolo che, seppur in linea con le sue esperienze, non combaci perfettamente con le sue aspirazioni o con quanto vorrebbe fare. Ammettere che la posizione offerta non è quella dei propri sogni, spiegare il motivo e raccontare con chiarezza quali sono le proprie aspirazioni non è affatto una mancanza di rispetto, anzi. Meglio dirlo subito che in una fase avanzata.
  1. Quanto conosci il linguaggio o il programma…quanto conosci la lingua inglese? Mentire sulle proprie capacità ed esperienze non è mai saggio. Capita spesso che al candidato venga chiesto di fare una prova pratica e a quel punto si viene smascherati nel giro di 30 secondi. Meglio, quindi, non perdere tempo cercando di convincere il selezionatore che si sa usare in modo professionale un determinato software o si conosce perfettamente l’inglese. Così facendo, si prolungherà solo il periodo di ricerca del lavoro giusto: è inutile cercare di trasformare se stessi nel candidato ideale, molto più importante trovare il lavoro ideale per se stessi!
  1. Quanto guadagnavi e quali benefit avevi? Non c’è nulla di sbagliato nel voler cambiare lavoro anche per poter aumentare la propria retribuzione o per avere maggiori benefit. È invece sbagliato – e anche controproducente – mentire su stipendio o altri benefit perché, in molti casi, al candidato potrebbe essere chiesta una prova che le informazioni fornite siano veritiere: ad esempio, l’ultima busta paga, Il Cud dell’anno precedente o la lettera di assunzione e, anche in questi casi, la verità emergerà all’istante.

 

Pillole di CV – Presentarsi alle aziende quando non si è occupati

In questo periodo sono alla ricerca di un Temporary Finance Manager per cliente di EasyHunters. La parola Temporary indica chiaramente si tratta di posizione a tempo e quindi legata ad un singolo progetto o a un fabbisogno specifico.

È la classica posizione appetibile per chi non ha un lavoro stabile a tempo indeterminato o per chi è a casa. Nel corso della mia carriera ho trovato davvero pochi candidati Temporary per vocazione.

In questi casi, riceviamo curricula di persone che hanno disponibilità immediate e, soprattutto, una certa flessibilità. Ma c’è un grande problema: molti di questi curricula non sono aggiornati e non riportano alcune informazioni cruciali per il selezionatore.

Due elementi in particolare vanno messi in evidenza:

Datare di lavoro: spesso le persone non mettono la fine del contratto con l’ultimo datore di lavoro. Dando chiaramente l’impressione che stiano ancora lavorando per quella società. Scelta che ha rischi e opportunità. Il rischio maggiore è che se a leggere il cv è un recruiter giovane tenderà a scartare il profilo sulla base del principio che se uno ha un contratto a tempo indeterminato non ne accetterà una a tempo determinato. Un selezionatore più senior, invece, si chiederà come mai un profilo cosi ha risposto a un annuncio temporary. Questo comporterà una telefonata o una mail di approfondimento con evidente allungamento dei tempi.

Perché si tende a lasciare il vecchio datore come se fosse ancora quello attuale? Perché si ritiene che avere ancora un lavoro renda più facile la ricerca di uno nuovo. Qualche volta può essere vero, ma questa motivazione viene meno quando si risponde a un annuncio Temporary. In questo caso, infatti, l’immediata disponibilità a lavorare e la flessibilità nell’accettare un contratto a tempo determinato rappresentano elementi distintivi in positivo, che andrebbero messi in evidenza. Anche in un testo di accompagnamento al CV.

Tipologia di contratto: è importante specificare la tipologia di contratto – anche se a termine – la sua scadenza e il pacchetto retributivo. Le forme contrattuali possono essere molte, direttamente con le aziende o tramite agenzie per i lavoro, possono avere scadenze ravvicinate o più lontane nel tempo.

Indicare queste informazioni aiuta il selezionatore a capire anche come mai ci si candida e la base di riferimento contrattuale. Esempio tipo di CCNL , numero di mensilità, eventuali benefit. Questi dati aiutano anche a calibrare bene le esperienze avute e il ruolo ricoperto.

Qualche volta siamo i migliori commerciali di noi stessi, ma più spesso il nostro curriculum necessità di qualche revisione per renderlo più comprensibile a un lettore esterno.

5 errori del capo che fanno scappare i talenti

Il “capo insopportabile” è uno dei motivi che può portare i talenti lontano dall’azienda e un capo – che dovrebbe valorizzare ed estrarre il meglio da ogni dipendente, tanto più dai migliori – dovrebbe anche sempre essere attento a non incappare in uno di questi 5 errori:

Errori di valutazione. Selezionare un talento ed inserirlo in un team è il primo passo per creare un ambiente stimolante e far crescere l’azienda. Accontentarsi di assumere una persona che non sia perfetta per una determinata candidatura significa mettere tutti i lavoratori in una situazione di mancato stimolo e di mancata fiducia nei confronti di chi ha selezionato la risorsa. Quante volte si sente dire che “il pesce puzza dalla testa”? O ancora: “Non è colpa sua ma di chi lo ha messo in quella posizione”? Ecco. Un buon capo crea un team dall’alta professionalità. Se infine vengono distribuite male anche le promozioni, questo può creare gelosie e tensioni controproducenti. Saper valutare chi merita cosa è fondamentale.

Carico di lavoro eccessivo. Parliamoci chiaro. I momenti in cui il lavoro extra cadrà sulle spalle delle persone più talentuose e di quelle più disponibili (che poi sono anche quelle nelle quali un capo ripone la propria personale fiducia) esistono in tutte le aziende ed esisteranno sempre. Ma se l’affidare incarichi extra a queste persone diventa la normalità, magari proprio perché sono le migliori, è bene fermarsi un secondo: diminuire i carichi e, ovviamente, distribuirli tra tutti i membri del team, premiando infine i più meritevoli con una promozione. In caso contrario, l’affidabilità diventerà, agli occhi dei lavoratori, non un pregio ma una trappola.

Stimoli e compiti corretti. Albert Einstein diceva che ognuno è un genio a modo suo. Ma che se si prova a convincere un pesce ad arrampicarsi su un albero, questo si sentirà profondamente inadeguato. La capacità di un buon manager è quella di stimolare le attitudini di ciascun lavoratore, senza mortificarlo e cercando di far fuoriuscire la creatività e il meglio da ognuno. Assegnare compiti a casaccio, o in maniera poco oculata, porterà a mancanza di stimoli, a frustrazione, mentre dare ad ognuno un obiettivo sempre più interessante, secondo le proprie capacità, creerà un’empatia personale e professionale necessaria per la crescita dell’azienda.

Parole parole parole. Quante volte un capo ha promesso una promozione, un permesso, un aumento come corrispettivo di un carico di lavoro importante e, magari, non dovuto? Bene, il capo deve sapere che qualsiasi promessa venga fatta, il dipendente la percepirà come un impegno da onorare mentre, tante volte, per il capo, si tratta solo di parole al vento, dette a seconda delle necessità del momento. Essere una persona di parola farà guadagnare punti, stima e fiducia. In caso contrario, verrà a mancare tutto questo.

Scarsa considerazione. Riconoscere la bontà di una performance lavorativa è fondamentale per permettere alle persone – quindi al team, all’azienda – di crescere e migliorare. Ignorare i risultati di chi lavora è il primo passo verso l’emarginazione dei talenti, verso la loro depressione lavorativa. Allo stesso modo, l’attenzione di un capo deve convergere anche verso il lato più umano. Un capo che comprende le dinamiche extra-lavoro è apprezzato e rispettato e sarà più facile che un talento acconsenta alle sue richieste che, se provengono invece da un capo insensibile, vengono avvertite come una semplice ingiustizia.