Il team non funziona: e se fosse anche un problema di leadership?

Non è un dipendente capace»; «No, non è un buon capo!». Quante volte abbiamo assistito a dialoghi di questo tipo? E il dubbio, in questi casi, è sempre uno solo: chi ha ragione? Da una parte ci possono essere manager che non sono in grado di gestire i propri team e tirare fuori, da loro, il meglio. Dall’altra, però, ci possono anche essere dipendenti che – per un motivo o per un altro – non dimostrano il proprio impegno.

Il compito di ogni buon manager è proprio questo: capire le motivazioni (se ci sono) che portano i dipendenti a non performare come ci si aspetterebbe e metterli nelle condizioni di lavorare al meglio. In base alla mia esperienza, ho capito che le situazioni-tipo che generano questo tipo di conflitti sono quasi sempre le stesse. E quasi tutte hanno una soluzione semplice ed immediata, in grado di riportare la serenità negli uffici.

Quella più banale è legata alla gestione del tempo. Capita spesso che qualcuno non rispetti le scadenze assegnate. In questi casi, l’aspetto fondamentale è capire da cosa dipende questo ritardo. E se tutto fosse legato ad una comunicazione poco efficace? Se dipendesse dal fatto che non arrivano le indicazioni giuste per poter comprendere e svolgere il lavoro? Questo è un punto cruciale: un buon manager deve essere in grado di fornire tutte le informazioni e gli strumenti necessari affinché il team possa portare a termine i compiti assegnati e rispettare le scadenze.

Un altro aspetto che può rivelarsi problematico, invece, è legato alle relazioni all’interno dei team. Ecco perché è fondamentale che ogni manager sia in grado di capire – già in fase di colloquio – gran parte degli aspetti caratteriali ed evitare di assumere un candidato che, molto probabilmente, non sarà in grado di integrarsi nel team. Può succedere, comunque, che qualche conflitto sorga strada facendo. In questo caso, il manager deve assolutamente capire – nel più breve tempo possibile – da dove abbia origine.

Se la persona non riesce a lavorare in modo efficace in gruppo, ad esempio, può non dipendere semplicemente da differenze caratteriali o da incapacità. Può succedere che dia il meglio di sé quando lavora da solo. Un buon manager, dunque, deve comprendere questa situazione e fare in modo che tutti siano in grado di lavorare nelle condizioni per loro più favorevoli. A questo si collega, infine, un altro aspetto che non deve mai essere sottovalutato. Quando le performance di qualcuno non migliorano – o lo fanno più lentamente di quanto ci aspettiamo – non è sempre colpa della scarsa volontà o, peggio ancora, della mancanza di competenze tecniche. Ho imparato, nel corso della mia carriera, che in moltissimi casi di questo tipo c’è un solo problema: l’assenza di feedback e di linee guida.

Quando una persona non riesce a capire cosa sta facendo bene e cosa male, dove può migliorare o dove ha raggiunto il livello che ci si aspetta da lei, non sarà mai in grado di crescere professionalmente. Credo, quindi, che prima di considerare un dipendente poco capace, svogliato o come elemento negativo del team, si debba fare un’analisi molto approfondita della situazione e trovare una soluzione. In fondo, gestire le persone e tirar fuori da loro il meglio è compito del manager.

* L’articolo originale è stato pubblicato da www.ilsole24ore.com qui