Motivazione sul lavoro? Meglio parlare di coinvolgimento

Sono sempre di più i manager che mi contattano per essere aiutati a capire quanto siano motivati i loro dipendenti

Io – in realtà – preferisco parlare di coinvolgimento e non di motivazione. Ma non si tratta di una semplice questione linguistica: è molto importante, infatti, sapere quale è il grado di coinvolgimento nelle varie attività quotidiane in ufficio. 

Tolti i casi estremi, ciascuno di noi avrà un grado di coinvolgimento differente nellvarie fasi della giornata lavorativa: è normale che ci siano momenti in cui siamo più coinvolti e altri in cui lo siamo molto meno. E molto del nostro grado di coinvolgimento dipenderà dall’obiettivo che vogliamo raggiungere mettendo in atto un determinato comportamento.

Bisogni e obiettivi. Nel parlare di obiettivi non possiamo non fare un passaggio obbligato sui bisogni che dobbiamo soddisfare. Senza scomodare Maslow e i suoi derivati, possiamo semplificare dicendo che abbiamo i bisogni del corpo, delle relazione e quelli della mente. Ed è proprio la mente che sta al centro di tutto. 

Facciamo un esempio concreto: ai miei studenti, durante una lezione, ho chiesto in quale attività sportiva si sentissero più coinvolti. Due dei miei talenti mi hanno risposto “quando gioco a calcio”. Visto lo scarso coinvolgimento del resto dei presenti, entrambi hanno manifestato una certa insofferenza. 

A questo punto alzato leggermente il tiro chiedendo, invece, quale fosse l’obiettivo per cui giocavano a calcio. Il primo mi ha risposto per divertirmi e per stare con gli altri, il secondo per la forma fisica. 

Due obiettivi ben diversi che si concretizzano in comportamenti diversi: se giochiamo a calcio per mantenerci in forma, prediligeremo l’attività aerobica e correremo su e giù per il campo per massimizzare l’esercizio. Nel secondo caso, invece, non ci concentreremo sul massimo sforzo possibile, ma cercheremo di divertirci il più possibile con gli altri. Due comportamenti diversi, dicevamo. Nessuno dei quali, però, può avere un basso grado di coinvolgimento. 

A cosa mi è servito questo esercizio? Semplice: ho dimostrato che lo stesso grado di coinvolgimento può portare ad obiettivi molto diversi tra loro. 

Da un punto di vista aziendale il grado di coinvolgimento delle persone andrebbe sondato molto ben, soprattutto quando abbiamo dei dubbi. Perché il rischio è di valutare gli altri con il nostro metodo di giudizio che non è detto sia quello del nostro interlocutore.

se avete tempo guardate questo video Motivazione

Casual o professional, come vestirsi al lavoro

La domanda del secolo, in fatto di abbigliamento, è: “come ci si veste al lavoro e, soprattutto, come ci si adegua al ruolo che si ricopre o all’ambiente?” Una mia amica risponderebbe altrettanto amleticamente con “dipende”.

In linea generale, per abbigliamento formale/professionale si intende giacca e cravatta per l’uomo e giacca con gonna o pantaloni per la donna.Quando io ho iniziato, giusto ieri, l’abbigliamento formale prevedeva solo il nero o il grigio, camicette accollate e scarpe chiuse, anche d’estate. Ricordo come se fosse stamattina quando una mia collega è stata rispedita a casa a cambiarsi la camicetta ritenuta troppo trasparente e provocante.

E oggi? E’ cambiato qualcosa? 

Probabilmente sì, ma ci sono 5 che secondo me restano sempre attuali e valide:

  1. Il luogo di lavoro è tale perché ci si lavora, non è un evento social

Anche se le statistiche dicono che la maggior parte delle coppie si crea sul posto di lavoro, tendenzialmente si va al lavoro per lavorare. E sulla base di questo presupposto l’abbigliamento dovrebbe essere adeguato. Gonne ad una altezza decente, pantaloni senza mutande in vista, colori che non siano un pugno nell’occhio. Potremmo definirle “regole di buon vivere“, ma che spesso vengono meno. Facendo colloqui mi è capitato di vedere un abbigliamento che io – personalmente – ho considerato fuori luogo. Troppo casual, troppo easy o friendly…più vicino ad una scampagnata con amici che a un incontro per un possibile lavoro.

Ci sono, ovviamente, delle eccezioni: in un’azienda del settore moda, giusto per farvi un esempio, chi si presenta in giacca e cravatta viene quasi allontanato. Ma l’ho detto, si tratta di un’eccezione perché il suo prodotto è casual, destinato ai giovani e lo spirito e la comunicazione dell’imprenditore sono tutte in questa direzione.

2. Alcuni luoghi di lavoro richiedono un abbigliamento leggermente più formale

Alcune aziende – in particolare quelle che operano nell’ambito bancario, finanziario o della consulenza – richiedono un abbigliamento formale, se non addirittura molto formale. Può succedere che chi non ha le cifre cucite sulla camicia venga considerato fuori posto. Ed ecco allora che, proprio in questi ambienti, vediamo spuntare cifre cucite ovunque – dal polsino al colletto – come vano tentativo di distinguersi dagli altri. Stesso discorso per i gemelli: più sono strani e particolari, più sono considerati in. Vero pure che per l’uomo che veste in giacca e cravatta non ci sono molte modi per evadere. Le cravatte, però, sono una possibilità di cambiamento. E su questo tema potremmo scrivere pagine e pagine. Ci sono quelle a fiori giganti, quelle con il topolino mini, quelle con cane alla rovescia o con l’elefante in bermuda a pois. Per non parlare delle bretelle, delle pochette e dei panciotti o i pullover da sottogiacca…

3. Alcuni ruoli permettono un abbigliamento un po’ più informale

Il mondo Digital e il mondo dell’ICT permettono un abbigliamento molto più informale. Anche se mi è capitato di vedere alcuni startupper vestiti di tutto punto con il completo gessato, queste realtà hanno, generalmente, un modo di porsi molto più friendly e unconventional. Le aziende che non hanno un contatto diretto con i clienti di solito permettono ai propri dipendenti di andare vestiti come desiderano. Il lavoro in remoto, infatti, permette di avere un approccio più rilassato. Attenzione però: potersi vestire come si vuole significa – o dovrebbe significare – avere un minimo di buon gusto e rispettare gli altri. Anche perché spesso il vestire casual viene interpretato come “mi prendete per come sono, anche se non mi lavo”.

4. Di solito ci si adegua all’ambiente pre-esistente

L’abbigliamento in ufficio, soprattutto quando si cambia lavoro, è uno degli aspetti da tenere in grande considerazione. Già durante i colloqui ci si dovrebbe rendere conto dello stile dell’azienda. Vedere per cinque volte solo gente vestita in giacca e cravatta, permetterà di dedurre abbastanza facilmente che l’ambiente richiede questo tipo di abbigliamento. Inutile continuare a presentarsi in t-shirt e infradito. Il discorso vale, naturalmente, anche per le donne. Ci sono signore che si ostinano a mettere tacchi da 12 anche quando devono salire sulle gru in un cantiere.

E’ opportuno ed utile verificare se la società applica ad esempio il Casual Fridayo ha specifiche per ruoli o funzioni. Fa un po’ parte della nostra intelligenza sociale capire e adeguarci all’ambiente se vogliamo lavorare proprio lì e in quel ruolo.

5. Se il ruolo è a contatto con terzi si cerca di essere il più neutrale possibile.

Ho ricevuto questo consiglio agli albori della mia carriera e credo che sia tanto semplice quanto utile. E’ innegabile: un abbigliamento con colori neutri e non sgargianti va bene sempre. E ancora, è possibile – con grande facilità – togliere giacca e cravatta se ci troviamo in un ambiente informale. Impossibile, invece, recuperare giacca o cravatta se ci troviamo, in t-shirt e infradito, in un ambiente super formale. Per le signore essere eleganti ma non sfarzose dovrebbe risultare più facile, basta non esagerare. E’ opportuno, inoltre, evitare di mettere in mostra simboli, tatuaggi o scritte prima di aver capito chi è il nostro interlocutore.

E’ un po’ come se io mi presentassi con un bel pendaglio con sopra scritto Forza Juve e di fronte a me trovassi un sostenitore accanito del Napoli…il rischio di iniziare con il piede sbagliato è estremamente elevato :)

Animali domestici in ufficio: perchè no?

Le aziende sono sempre più alla ricerca di sistemi economici per rendere le ore lavorative il meno stressante possibile. Nel corso del tempo gli uffici si sono popolati di sedute ergonomiche, di ampie vetrate stile acquario e hanno iniziato a introdurre il cosiddetto casual Friday.

E poi sono comparsi cucine sempre più ampie, zone ristoro, spazi fumatori e in alcuni fortunati casi anche palestre, asili nido o biblioteche.

Si tratta, però, di soluzioni che richiedono metri quadrati e che, soprattutto nelle grandi città, costano non poco.

Per questo motivo si cercano soluzioni “individuali”, a basso costo ma ad impatto elevatissimo. Ve ne cito qualcuna: yoga in ufficio, massaggio individuale alla scrivania, meditazione. Ed ora sempre più spesso si parla di aziende aperte agli animali da compagnia.

Come sempre, sono gli americani ad aver aperto la strada: alcuni grandi marchi hanno iniziato già qualche anno fa con i Pet Friday, durante i quali i dipendenti possono portare con loro i propri animali da compagnia.

Vista la difficoltà di socializzazione di alcune specie la casistica si riduce quasi sempre ai soli cani. Vi immaginate il gatto della vostra vicina di scrivania che litiga con l’iguana di un altro collega?

Prima di introdurre questa abitudine, è importante che l’azienda si dia delle regole e che le faccia rispettare.

Eccone 4, in generale:

  1. Definire quando – giorno e orari – è fattibile e chi può avere accesso al programma.
  2. Far portare in azienda solo gli animali in buono stato di salute e, preferibilmente, con tutte le vaccinazioni a posto.
  3. Valutare bene se ci sono dipendenti che hanno allergie o paure specifiche.
  4. Delimitare le zone di accesso agli animali nel rispetto dell’igiene generale.

All’interno degli uffici in cui sono stati portati gli animali, si sono registrati unaminore tensione nei gruppi di lavoro, una maggiore collaborazione tra colleghi e toni della voce più contenuti. Meno stress e più produttività,quindi.

Uno dei miei vecchi capi portava il suo labrador ogni tanto in ufficio, un altro, invece, ha permesso a me di portare il mio. E quando il mio cane è entrato per la prima volta è successa una cosa incredibile: il collega super burbero e mai garbato con nessuno lo ha visto, si è intenerito e dopo soli 5 minuti l’ho ritrovato per terra con il cane che gli saltava addosso. Mai vista una persona più felice. Dopo questo episodio, interagire con lui è diventato molto più semplice.

Oggi, quando lavoro da casa il mio cagnone è sempre sotto la mia scrivania e non potrei avere compagno migliore.

Le bugie hanno le gambe corte. Ai colloqui di lavoro di più

Spesso mi viene chiesto qualche consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro. Effettivamente durante un qualsiasi colloquio, al candidato vengono posti diversi tipi di domande. Alcune di esse sono legate al curriculum, altre alle esperienze lavorative o accademiche, altre ancora alle aspettative di crescita professionale o economica, alla conoscenza delle lingue straniere e agli interessi personali.

È fondamentale essere il più trasparenti e sinceri possibile, anche perché per iselezionatori è abbastanza semplice scoprire, attraverso alcune domande di verifica, bugie o incongruenze.

E’ possibile che un candidato menta durante il colloquio, ma è una prassi che sconsiglio fortemente, soprattutto quando si affrontano colloqui con intermediari. Quando ci si accorge che il candidato non è sincero, la valutazione peggiora drasticamente: se al candidato mancano alcune competenze, forse, è possibile chiudere un occhio, ma chi vorrebbe una persona disonesta nella sua azienda? Nessuno.

Ma quali sono le bugie più frequenti?

  1. Perché hai lasciato il precedente lavoro? È una delle domande più frequenti nei colloqui di selezione. Se si è stati licenziati, dire che si è scelto di lasciare la propria azienda non è la soluzione migliore. Dobbiamo ricordare che essere licenziati non ci rende necessariamente pessimi candidati. Un buon selezionatore, tra l’altro, sarà in grado di dare consigli su come comunicare questa informazione e dare comunque una buona immagine di sé e del proprio percorso professionale, indipendentemente da come è avvenuta l’uscita.
  2. Ti interessa il ruolo di…? Può capitare che ad un candidato venga proposto un ruolo che, seppur in linea con le sue esperienze, non combaci perfettamente con le sue aspirazioni o con quanto vorrebbe fare. Ammettere che la posizione offerta non è quella dei propri sogni, spiegare il motivo e raccontare con chiarezza quali sono le proprie aspirazioni non è affatto una mancanza di rispetto, anzi.
  3. Quanto conosci il linguaggio o il programma…quanto conosci la lingua inglese? Mentire sulle proprie capacità ed esperienze non è mai saggio. Capita spesso che al candidato venga chiesto di fare una prova pratica e a quel punto si viene smascherati nel giro di 30 secondi. Meglio, quindi, non perdere tempo cercando di convincere il selezionatore che si sa usare in modo professionale un determinato software o si conosce perfettamente l’inglese. Così facendo, si prolungherà solo il periodo di ricerca del lavorogiusto: è inutile cercare di trasformare se stessi nel candidato ideale, molto più importante trovare il lavoro ideale per se stessi!
  4. Quanto guadagnavi e quali benefit avevi? Non c’è nulla di sbagliato nel voler cambiare lavoro anche per poter aumentare la propria retribuzione o per avere maggiori benefit. È invece sbagliato – e anche controproducente – mentire su stipendio o altri benefit perché, in molti casi, al candidato verrà chiesto di mostrare le ultime buste paga e, anche in questo caso, la verità emergerà all’istante.